Un’azienda che desideri affermarsi sul mercato e rendersi immediatamente distinguibile in mezzo a un florilegio più o meno grande (a seconda del settore in cui si opera) di concorrenti non può fare a meno – almeno da un certo livello di crescita in poi – di creare una propria linea personalizzata di gadget da distribuire, vendere o cedere a titolo di premio o omaggio ai propri clienti. Internet e social network a parte, infatti, tale attività rimane il veicolo più certo e tutto sommato economico per esportare (potenzialmente ovunque) non solo il proprio marchio, ma anche la mission e i valori della propria azienda. Tutto ciò con la volontaria complicità dei propri clienti, che da semplici acquirenti divengono dei veri e propri testimonial, rafforzando il loro engagement – e dunque, di ritorno, la loro natura primigenia di clienti – nei confronti dell’azienda stessa.

Tuttavia, una volta presa la decisione di imprimere il proprio marchio su un oggetto o una linea di articoli, si pone immediatamente il primo dilemma: su quali oggetti puntare? La risposta non è immediata. Inoltre, sgombriamo subito il campo dagli equivoci, è molto meno scontata di quanto potrebbe apparire a un primo esame superficiale.

La prima tentazione, infatti, sarebbe quella di orientarsi su prodotti affini al core business dell’azienda. Ad esempio, se produco gioielli sarò immediatamente incline a realizzare una linea di gadget composta da accessori da utilizzare come coordinati con i miei prodotti. Scelta che potrebbe rivelarsi errata per due motivi: in primis perché una scelta così contigua potrebbe rappresentare, in un futuro più o meno immediato, un’area di ampliamento del mio business, e quindi non mi conviene derubricarla al ruolo di mero gadget collaterale; e in seconda istanza perché non è affatto detto che essa desti un reale interesse presso la nostra clientela abituale o potenziale.

Proviamo a fare un esempio ancora più specifico. Prendiamo un’azienda che ha come clientela di riferimento una fascia di età compresa tra i 15 e i 25 anni. È un’indicazione sommaria, ma pur sempre un’indicazione, su cui si possono innestare una serie di ragionamenti: ad esempio, può apparire logico gratificare gli appartenenti a tale aliquota anagrafica con dei capi d’abbigliamento tipicamente giovanili, come felpe, T-shirt o cappellini. Se però l’azienda commissionasse una ricerca di mercato più raffinata, potrebbe scoprire che i suoi clienti sono perlopiù studenti di scuola superiore o universitari, per i quali, forse, il gadget più indicato può essere un prodotto di cartoleria o cancelleria, come penne, taccuini o agende. Una tipologia di articoli di natura ben diversa rispetto a quella inizialmente ipotizzata.

Per questo motivo la scelta del gadget cui abbinare il proprio brand non è affatto un’operazione superficiale. E per quanto si ritenga che la classica T-shirt rappresenti una sorta di zona franca, di oggetto buono per tutte le stagioni, cui affidarsi quando non si hanno le idee chiare, la cosa migliore da fare è studiare con dei professionisti del settore la strategia di corporate branding più adatta alle proprie esigenze, partendo da serie e autorevoli ricerche di mercato ed esaminando con attenzione tutte le opzioni possibili (anche in relazione al budget di cui si dispone). D’altronde, se i maggiori esperti di marketing aziendale suggeriscono di investire almeno il 5% del budget a disposizione per le attività promozionali in ricerche di mercato, un motivo ci sarà…